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Amore invano

Robert Johnson, Bob Dylan e David Lynch

Racconta il mito che un giorno il leggendario bluesman Robert Johnson stipulò un patto col diavolo presso un incrocio stradale del Mississippi. Johnson ha poi alluso in molte sue canzoni all’origine diabolica della sua ispirazione musicale derivata direttamente dal voodoo, la stregoneria e da Satana in persona.

L’opera di Bob Dylan, dalle sue prime incisioni blues fino al repertorio più maturo dell’album “Street Legal”, si rifà sistematicamente ad espressioni e metafore tipiche di Johnson, un’influenza riconosciuta dallo stesso Dylan nell’autobiografia “Chronicles I”: “il codice linguistico di Robert Johnson era di un’originalità che non avevo e non avrei mai più sentito”.

In uno scambio di battute con l’intervistatore Ed Bradley trasmesso durante il programma “60 Minutes”, Bob Dylan può aver ammesso o giocato con l’idea di un patto demonico finalizzato alla propria carriera. Alla domanda sul perché lui continuasse a fare musica, Dylan ha infatti accennato a un contratto stipulato molto tempo fa “con il sommo comandante su questa terra e nel mondo che non possiamo vedere”.

In “Every Grain of Sand”, una canzone scritta al consumarsi del suo periodo cristiano, egli fa riferimento “alla mano del Padrone / nel fremito di ogni foglia / in ogni granello di sabbia”, ma Dylan non chiarisce mai nei suoi versi se noi dobbiamo identificare il Padrone con Dio oppure con il diavolo. La domanda rimane senza risposta. E tuttavia non riusciamo a dimenticare la strategia della metafora faustiana dove Mefistofele si riappropria dell’anima del suo pupillo allo scadere del tempo concesso: cioè una volta che l’ultimo granello di sabbia ha oltrepassato la fessura della clessidra. Ti ho dato il potere e la gloria, dice il diavolo. Ma tu mi appartieni.

“Ti va di stringere un accordo?” è la domanda che sentiamo nel capolavoro di Dylan “Like A Rolling Stone” subito prima del ritornello. Un tema esplorato a fondo dall’adattamento cinematografico “Love in Vain” scritto da Alan Greensberg. La sceneggiatura si concentra sulla vita di Robert Johnson e sull’ambientazione del Delta del Mississippi fatto di chiese, baracche, campi di cotone, produttori di whisky clandestino e blues. Lo stile visionario di Greenberg cattura l’essenza della musica e della personalità di Johnson, un uomo che si considerava predestinato all’inferno, in perenne compagnia di eventi tragici e misteriosi.

In anni recenti sono girate molte voci sulla possibilità che David Lynch stia o non stia raccogliendo fondi per dirigere un film tratto dal copione di “Love in Vain”, al punto che nel 2013 Lynch si è sentito costretto a dichiarare quanto segue: “da 30 anni ormai sono un fan della sceneggiatura scritta da Alan Greenberg per Love In Vain. Mi piacerebbe molto farne un film un giorno. Ma affinché questo accada bisogna che un certo numero di cose si allineino nella giusta maniera”.

Citando da un sogno su Monica Bellucci nell’episodio 14 di “Twin Peaks: The Return”, Gordon Cole — il personaggio interpretato dal regista David Lynch — dice “siamo come il sognatore, il quale sogna e poi vive dentro il sogno”. E poi si chiede “ma chi è il sognatore?”. A questo proposito, c’è qualcuno — oltre a me — che a volte sogna ad occhi aperti l’avverarsi di un piccolo miracolo? E cioè che Lynch un giorno davvero diriga “Love in Vain”, per quanto improbabile sia la realizzazione di questo desiderio?

La sceneggiatura di Greenberg ha molti aspetti in comune con i temi centrali di Lynch. Innanzitutto, il fulcro sta nel concetto di possessione. Robert Johnson suona il blues perché non ha altra scelta. Il blues lo possiede, una volta stipulato l’accordo con il diavolo. Questo è puro Lynch, basti solo pensare all’archetipo del diabolico “Bob” onnipresente in Twin Peaks. Sia i personaggi di Greenberg che quelli di Lynch vivono in un’atmosfera di costante pericolo e gli eventi più significativi nelle loro vite hanno luogo di notte (come nelle migliori canzoni di Dylan). Robert Johnson crede nella magia. L’agente Cooper si affida alla magia per risolvere il caso di Laura Palmer. Vero, in “Love in Vain” non si fa menzione del buddismo tibetano, ma questa mancanza viene sopperita da riferimenti a piè di pagina all’Etiopia in un contesto biblico.

I personaggi di Greenberg sprigionano fantasie estreme. Si danno alle scommesse clandestine, bevono in eccesso, si drogano, fanno l’amore, uccidono e — soprattutto — suonano la loro musica preferita con il cuore in mano. Quanti ricordano la sublime voce di Jimmy Scott nell’esecuzione di “Under The Sycamore Tree” nell’episodio 29 di Twin Peaks? Come ci si sente ad immaginare una scena analoga in un eventuale film intitolato “Love in Vain”?

Nella sezione “Ringraziamenti” del suo libro Alan Greenberg nomina Jeff Rosen, il manager di Bob Dylan, tra le persone che lo hanno aiutato nel suo progetto. Sì, se un giorno mai Bob Dylan e David Lynch unissero le loro forze in un’impresa comune, il risultato sarebbe spettacolare.

Esiste una qualche speranza o è il mio amore per loro invano?

Versione inglese qui

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